“SECESSIONE” APPELLO AGLI STATI PER TRUMP. Repubblicani del Texas contro il rifiuto della Corte Suprema nella causa sui brogli

“SECESSIONE” APPELLO AGLI STATI PER TRUMP. Repubblicani del Texas contro il rifiuto della Corte Suprema nella causa sui brogli

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AGGIORNAMENTO DEL 14-12-2020

NBC NEWS – Lunedì il Collegio Elettorale nazionale USA ha ufficialmente votato Joe Biden come prossimo presidente degli Stati Uniti. Biden ha superato la soglia di 270 voti elettorali necessaria per sconfiggere il presidente Donald Trump dopo che la California ha convogliato i suoi 55 elettori all’ex vicepresidente.


di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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“La Corte Suprema, nel lanciare la causa in Texas a cui si sono uniti diciassette stati e 106 deputati statunitensi, ha decretato che uno stato può intraprendere azioni incostituzionali e violare la propria legge elettorale. Con conseguenti effetti dannosi su altri Stati che rispettano la legge, mentre lo Stato colpevole non subisce conseguenze. Questa decisione stabilisce un precedente secondo il quale gli stati possono violare la costituzione degli Stati Uniti e non essere ritenuti responsabili. Questa decisione avrà ramificazioni di vasta portata per il futuro della nostra repubblica costituzionale. Forse gli stati rispettosi della legge dovrebbero legarsi insieme e formare un’Unione di stati che rispetterà la costituzione “.

E’ partita da Austin lo scorso 11 dicembre la dirompente provocazione di Allen West, tenente colonnello dell’Esercito in congedo ed ex parlamentare alla Camera ma ora presidente del Partito Repubblicano del Texas, che ha lanciato un appello pubblico per la secessione.

Allen West, presidente del Partito Repubblicano del Texas

«Lavandosi le mani dalla responsabilità di ascoltare la sfida del Texas alle elezioni presidenziali del 2020, i nove giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti potrebbero aver suggellato il destino del paese e reso molto più probabile una guerra civile cinetica» ha scritto l’opinionista Nebojsa Malic su Russia Today.

La Corte Suprema non si è sentita di affrontare il peso di mettere in discussioni il risultato delle elezioni nemmeno con una pantomima per accontentare 19 stati degli USA. Avrebbe potuto farlo solo formalmente: aprendo la causa e poi confermando l’inesistenza dei brogli denunciati dalla campagna di Trump. Ma ciò avrebbe fatto saltare la proclamazione ufficiale del presidente-eletto Joseph Biden che il Comitato Elettorale Nazionale ha in previsione per domani, lunedì 14 dicembre.

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Come riportato da Roberto Vivaldelli su InsideOver, Rudy Giuliani ha dichiarato nei giorni scorsi che i legislatori in Arizona, Georgia e Michigan potrebbero finire per decidere quali elettori inviare non solo in vista dell’imminente assemblea ma soprattutto in riferimento alla rappresentanza che dovrà certificare il voto davanti al Congresso all’inizio di gennaio

«L’ex sindaco di New York ha spiegato che gli stati controllati dai repubblicani potrebbero votare per l’invio della propria lista di grandi elettori, sottolineando che una tale opzione è sostenuta nella Costituzione degli Stati Uniti. Sia Giuliani che Jenna Ellis hanno fatto pressioni sui legislatori statali negli ultimi giorni per riaffermare il loro potere di scegliere i propri grandi elettori a causa delle presunte prove di brogli. L’ex sindaco ha detto domenica a Fox Business che i legislatori della Georgia “hanno avviato una petizione per scegliere i propri elettori”, sottolineando che i membri del Gop sono “disgustati” dalle prove mostrate durante un’udienza la settimana scorsa» spiega InsideOver, rubrica di geopolitca del quotidiano Il Giornale.

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«Trattasi di un’eventualità – quella ipotizzata da Giuliani – che il celebre politologo Graham Allison aveva illustrato poche settimane fa sulla prestigiosa rivista the National Interest. Potrebbe accadere ciò che è già successo in occasione delle elezioni presidenziali del 1876 che vedevano contrapposti Tilden e Hayes. Come allora, ogni stato dovrà riunire la propria assemblea per certificare il risultato delle elezioni e la lista dei grandi elettori al Congresso. Questo dovrebbe accadere indicativamente verso il 6 gennaio. Tuttavia, sottolinea Allison, “i legislatori statali hanno l’autorità costituzionale per concludere che il voto popolare è stato corrotto” da “possibili brogli” e “quindi inviare una lista di elettori in competizione per conto del loro stato. Ciò significa che in caso di controversie su liste elettorali concorrenti, il Presidente del Senato, il Vicepresidente Pence, sembrerebbe avere l’autorità ultima per decidere quali accettare e quali rifiutare. E Pence sceglierebbe Trump” ».

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Ma c’è il rovescio della medaglia. Nel caso in cui il Congresso non certificasse la nomina di un presidente eletto i poteri presidenziali passerebbero nelle mani del Presidente della Camera, Nancy Pelosi, la leader dei Democratici che ha pilotato lo scandalo UkraineGate fino all’Impeachment contro Trump poi bloccato dal Senato.

Il nodo cruciale del problema, però, come evidenziato nei precedenti articoli, è la contrapposizione interna agli stessi repubblicani che rende ardua da pensare qualsiasi reazione compatte di sicuro effetto sia nelle pieghe delle contestazioni all’interno del Comitato elettorale che in riferimento all’appello lanciato dall’ex parlamentare Allen West per l’improbabile “secessione” degli stati confederati ligi alla Costituzione.

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Da una parte c’è l’area estremista dell’ex presidente George W. Bush che fin dall’inizio della campagna elettorale si è schierata con il candidato democratico Joseph Biden in quella perfetta sinotnia dei poteri forti del Deep State capaci di travalicare i confini tra Red e Blue. Poi ci sono coloro che hanno fatto un endorsement al presidente-eletto Biden appena i media di mainstream hanno accreditato la sua vittoria quando gli esiti delle votazioni erano ancora assolutamente incerti (tanto da innescare una polemica a distanza tra New York Times e Fox News). Infine ci sono quelli che pur restando vicini a Trump non credono né legittimano la sua denuncia di una frode elettorale.

 

I FANS DI TRUM: “DISTRUGGI IL GOP”

Questo ha suscitato l’ira della gente. Il popolo di Trump è scesa in strada nella giornata di sabato per manifestare tuta la sua rabbia. Ma non hanno voluto solo protestare contro la decisione dei giudici della Corte Suprema. No. I manifestanti di MAGA di Make America Great Again e dei più energici Proud Boys hanno attaccato gli stessi repubblicani.

«Migliaia di sostenitori del presidente Donald Trump sono scesi a Washington sabato per una massiccia manifestazione del MAGA che ha visto una raffica di oratori conservatori che si rivolgevano alla folla agitata, che crede che l’elezione sia stata loro “rubata” e accusa il Partito Repubblicano di “tradimento”» scrive il corrispondente americano di Russia Today.

Era presente un gruppo eterogeneo di figure pro-Trump, incluso il teorico della cospirazione Alex Jones; L’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Michael Flynn, che è stato graziato da Trump; e l’ex consigliere per la politica estera di Trump, Sebastian Gorka. Il presidente ha persino sorvolato la folla riunita in Marine One mentre si recava a una partita di calcio a West Point. «Nonostante i canti accesi come “distruggi il GOP!” l’evento è stato per lo più pacifico, poiché la polizia di Washington è riuscita a tenere lontani i contro-manifestanti, con file di poliziotti in bicicletta e in tenuta antisommossa che impedivano ai gruppi di interagire» aggiunge RT.

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Una persona, apparentemente dalla parte dei Proud Boys, è stata accoltellata, con video condivisi online che mostrano un gruppo di destra che si alleava contro un uomo vestito di nero che brandiva un coltello.

Questa dura contestazione politica assume quindi più rilievo persino degli scontri innescati dalle contro-manifestazioni organizzate dagli estremisti di sinistra del Black Lives Matter ma soprattutto degli Antifa che, in tenuta anti-sommossa come perfetti guerriglieri urbani d’impronta squadrista, hanno cercato ancora una volta di sopprimere il diritto democratico degli altri a manifestare. Nei tafferugli ci sono stati quattro accoltellati a Washington, ricoverati con ferite gravi in ospedale, mentre un sospetto è stato arrestato per una sparatoria scoppiata durante i cortei tenutisi nella città di Olimpia, capitale dello stato di Washington. Il New York Times ha riferito di 23 arresti soltanto nella capitale.

IL FALSO MITO DELLA LOTTA COL KRAKEN

Tra i pochi sostengono invece le accuse di frodi di Trump c’è l’avvocato Sidney Powell che contava molto sul pronunciamento della Corte Suprema in relazione ai presunti brogli avvenuti in Georgia, ma ci sono anche coloro che hanno alimentato la bizzarra teoria del Kraken e diffuso la notizia al momento mai confermata dei server sequestrati dai reparti speciali dell’esercito americano a Francoforte in un ufficio operativo da cui la CIA avrebbe pilotato i voti col sistema Dominion.

Il simbolo del Kraken, il 305 Battaglione di Intelligence MIlitare con il motto latino “Proteggi i segreti ufficiali”

Il Kraken è effettivamente il soprannome del 305 ° Military Intelligence Battalion che fa parte della United States Army’s 111th Military Intelligence Brigade situata a Fort Huachuca, in Arizona. Ma come evidenzia il sito MilitaryTimes nel confutare la notizia dello scontro a fuoco tra soldati e agenti 007, già smentito dal Pentagono, il 305° è un’unità di addestramento ed è stato assegnato al Army Training and Doctrine Command – il che significa che non ha partecipato a nessuna missione operativa – dal 1990. «Conduce l’addestramento iniziale per i nuovi soldati in posizioni di intelligence militare. Nessuna unità del lignaggio del battaglione è andata all’estero per operazioni di combattimento, tanto meno per sorvegliare o combattere la CIA, dalla seconda guerra mondiale» scrivono Howard Altman e Davis Winkie su Military Times.

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Ecco perché, a meno di eccezionali colpi di scena al momento difficili da prevedere, se gli stati repubblicani non risponderanno all’appello dell’ex parlamentare West per una secessione “in difesa della Costituzione” con una clamorosa e storica protesta, la nomina di Biden quale 46° presidente degli Stati Uniti d’America appare sempre più concreta e inarrestabile, a sigillo dell’ennesima vitoria del Deep State che già fece ammazzare Abraham Lincoln e John Fitzgerald Kennedy.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MAIN SOURCES

GOSPA NEWS – GEOPOLITICA

GOSPA NEWS – WUHAN.GATES REPORTAGE

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Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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