MINNEAPOLIS: PROTESTA PER «GIUSTIZIA RAZZISTA!» Se il Poliziotto condannato per Omicidio è Nero e Musulmano

MINNEAPOLIS: PROTESTA PER «GIUSTIZIA RAZZISTA!» Se il Poliziotto condannato per Omicidio è Nero e Musulmano

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di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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«Questo caso riguarda un immigrato musulmano nero. Sono preoccupati di deludere la comunità bianca. Per questo motivo oggi non è stata servita la giustizia».

Questa frase fu pronunciata da Ahmednur Abdirahman, 36 anni, che era tra i manifestanti schierati davanti al Centro governativo della Contea di Hennepin (Minnesota) in difesa di Mohamed Noor, un agente afro-americano 33enne del Dipartimento di Polizia di Minneapolis processato e condannato a 12 anni e mezzo per l’uccisione della 40enne australiana Justine Ruszczyk, che già portava il cognome Damond del fidanzato che stava per sposare.

Lo riferì il 7 giugno 2019 il New York Times in un articolo che la comunità di colore americana e i suoi sostenitori DEM hanno cercato di dimenticare in fretta…

Ebbene sì! Esattamente un anno fa nella città che sta sconvolgendo gli Stati Uniti d’America (e non solo) per le proteste di Black Lives Matter e dei guerriglieri Antifa di estrema sinistra che li aiutano a devastare le città, capitò un caso totalmente antipodico a quello di oggi. Un poliziotto di colore di origini somale finì in manette per aver sparato ad una signora incensurata e disarmata responsabile soltanto di averlo spaventato con la sua improvvisa apparizione dietro la casa dove lei stessa viveva.

L’ex poliziotto condannato Mohamed Noor e la vittima Justine Ruszcczyk Damond

Cosa sia davvero accaduto in quel vicolo buio è un segreto che sanno soltanto Noor e il suo collega della pattuglia. Erano intervenuti presso la residenza della signora Ruszczyk in risposta alla sua telefonata al 911 per la segnalazione di una presunta minaccia di aggressione sessuale ad opera di uno sconosciuto che si aggirava lì intorno. Nemmeno il processo riuscì a chiarirlo con certezza. Entrambi gli operatori delle forze dell’ordine indossavano le telecamere ma nessuno dei due le aveva accese.

«La legge non consente la clemenza perché qualcuno è una brava persona» ha detto a Noor il giudice distrettuale della contea di Hennepin Kathryn Quaintance mentre pronunciava la sentenza accanto alla hall affollata dai protestanti che chiedevano giustizia. Ma in quel caso non per la vittima Justine…

Chiedevano non si sa quale giustizia per l’agente killer in uno dei paradossi che purtroppo la cultura dal “doppio peso”, insegnata dalla sinistra nelle piazze violente del mondo, ci fa incontrare tutti i giorni anche in Europa: quando i migranti africani accolti, accuditi e mantenuti dalla Repubblica Italiana distruggono gli alberghi che li ospitano perché non vogliono gli spaghetti per pranzo…

La morte della signora Damond ci ricorda dunque due cose importanti: la pericolosità della polizia americana è una tragica realtà ma non è figlia solo del razzismo insito nel cuore umano quando coltiva la superbia etnica (bianca, gialla, nera o araba a seconda del luogo) come vorrebbero far credere coloro che manifestano per la brutale uccisione di George Floyd.

Il 46 arrestato per una banconota falsa è stato asfissiato con un ginocchio alla gola dall’agente Derek Chauvin, in un gesto talmente crudele e assurdo da averci indotto nel precedente reportage d’inchiesta a ritenerlo parte di un tremendo complotto del Deep State, espertissimo nel gettare benzina sul fuoco delle tensioni sociali per pilotare i cosiddetti regime-change.  In questo ultimo caso il bersaglio predestinato pare essere il presidente nazionalista Donald Trump che non piace agli avversari mondialisti, in larga parte Democratici ma anche Repubblicani radicali GOP.

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I due omicidi non possono essere minimamente paragonati tra loro perché Noor avrebbe agito a suo dire per una reazione istintiva perché la donna «avrebbe potuto avere un’arma», così si giustificò l’imputato, giudicato colpevole da una giuria popolare di omicidio di terzo grado e omicidio colposo di secondo grado.

Mentre lo spietato sceriffo Chauvin, già sotto inchiesta per altri episodi di violenza, ha palesato un’apparente intenzionalità di uccidere in quei 9 minuti sopra il fermato agonizzante e in manette, per cui l’avvocato di Floyd vorrebbe che l’imputazione diventasse di omicidio di primo grado mentre al momento è di secondo (con un rischio di pena di 40 anni).

«Come posso trasmettere alla corte l’impatto di un futuro perduto e di quali sarebbero stati potenzialmente 30 o 40 anni pieni di amore, di famiglia, di gioia, di risate? Non posso, se non per dire: il giorno del 15 luglio 2017, è stata l’ultima volta che ho provato felicità» dichiarò durante il processo Don Damond, il fidanzato di Justine che fu freddata da un colpo di pistola mentre era scesa in strada in pigiama dopo aver chiamato la polizia per soccorrerla dalla presunta minaccia.

I membri della comunità afro-americana musulmana in protesta davanti al Tribunale durante il processo al poliziotto di origini somale Mohamed Noor

Muna Abdirahman, invece, si presentò all’udienza nei confronti dell’ormai ex poliziotto Noor indossando una maglietta che recava la scritta “Carnagione sbagliata per la protezione blu”. Ha detto di essere felice che la bianca Ruszczyk, avesse ottenuto una giustizia che nessun’altra vittima del Minnesota ha ricevuto.

«I membri della comunità musulmana sono giunti al Tribunale di Hennepin con cartelli che esprimevano la loro frustrazione per il caso. Dicono che Noor sarebbe stato capro espiatorio e che non gli siano state fornite le stesse protezioni degli altri agenti di polizia» riporta un articolo di Minnesota Public Radio News (fonte di una parte di queste notizie insieme a quello del New York Times).

 

LE STATISTICHE DEL CRIMINOLOGO USA

«A livello nazionale, solo altri tre agenti di polizia sono stati condannati per omicidio per una morte causata in servizio, ha affermato Phil Stinson, criminologo della Bowling Green State University in Ohio, che ha rintracciato i dati dal 2005» aggiunge MPR News

La pena media per queste condanne per omicidio è 12 anni e mezzo di di carcere: la stesso della sentenza di Noor. Le uniche volte in cui gli agenti di polizia giudicati colpevoli non hanno ricevuto una pena detentiva in prigione sono quelle per casi di omicidio colposo in cui il poliziotto ha sparato a qualcuno e il rimbalzo del proiettile ha ucciso qualcun altro, secondo Stinson.

«Dal 2005 104 agenti di polizia sono stati accusati di omicidi a livello nazionale. E di questi 36 sono stati condannati per un crimine» ha aggiunto Stinson sostenendo che è un piccolo campione di casi. Ha affermato che le sentenze in tali vicende giudiziarie sono variate da nessuna incarcerazione in quelle più lievi a 40 anni di prigione per quelle più gravi.

Jason Van Dyke, ritenuto responsabile di omicidio per aver sparato a Laquan McDonald a Chicago è stato condannato a circa sette anni. In Colorado, James Ashby è stato condannato a 16 anni per aver ucciso Jack Jacquez dopo uno scontro nel 2014. Roy Oliver, del Texas, era l’ufficiale che sparò a al 15enne Jordan Edwards, mentre correva in macchina dopo una festa. Gli fu comminata una pena di 15 anni di carcere.

 

LA PAURA RECIPROCA TRA POLIZIA E CITTADINI AMERICANI

La questione cruciale è stata ben rappresentata da Thomas Plunkett, uno degli avvocati del poliziotto condannato per l’uccisione della 40enne australiana: «Una pena detentiva punisce il signor Noor solo per una cultura che non ha creato e, a tutti gli effetti, una cultura che sarebbe piaciuto a lui stesso vedere cambiare. Ciò che ha realmente causato questa (tragedia) è la paura che continua a permeare la nostra società. La polizia ha paura della gente, la gente ha paura della polizia».

Ecco il nocciolo del problema che si nasconde dietro a due omicidi tanto diversi avvenuti a Minneapolis. Ecco perché è riduttivo, fuorviante e non aiuta la causa per aggiustare il sistema gridare al razzismo nei confronti degli afro-americani soprattutto dopo che un esponente della loro comunità è stato per due mandati presidente degli Usa (Barack Obama).

ERGASTOLO ALLO SQUARTATORE DI PAMELA: resta l’ombra della mafia nera

Addossare a tutti i poliziotti bianchi americani il sospetto di razzismo è essa stessa una mentalità razzista. Una visione pregiudiziale, parossistica e manichea dell’umanità che per analogia potrebbe poi legittimare ad immaginare tutti gli africani clandestini potenziali stupratori come quello che ha abusato della 18enne romana Pamela Mastropietro poi uccidendola e squartandola in 24 pezzi per occultarne i resti o quelli che hanno violentato turno la 16enne vergine Desirèe Mariottini drogandola fino alla morte.

A PROCESSO IL BRANCO NERO CHE HA STUPRATO E UCCISO DESIREE DA VERGINE

La stessa estremizzazione di giudizio potrebbe indurci a sospettare tutti i giovani nigeriani migranti in Europa quali criminali della sempre più pericolosa Mafia Nera, tutti i libici dei clan tribali come trafficanti di uomini, tutti i siciliani come esponenti di Cosa Nostra, tutti i Rom come ladri, tutti i latino-americani come narcotrafficanti e tutti gli afro-americani come violenti, visto che le statistiche attribuiscono purtroppo a questo gruppo sociale il 50 % dei crimini commessi in Nord America nonostante siano solo il 13 % della popolazione.

Una mentalità così gravida di pregiudizio potrebbe quindi portarci a credere che tutti i massoni siano satanisti razzisti come fu Albert Pike, storico Gran Maestro del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Accettato, fondatore del Ku Klux Klan e generale sudista che può ancora vantare una statua negli Usa, o infine che tutti gli australiani di origine israeliana con un addestramento militare e la passione per le armi possano essere stragisti come Brenton Tarrant nelle moschee di Christchurch…

MASSONERIA E SATANISMO NELLA STORIA DI ALBERT PIKE

E’ invece vero, come evidenziato da un’inchiesta segnalata nel precedente articolo, che l’omicidio da parte di un poliziotto rappresenta la sesta causa di morte negli Usa ma è pure stimato che circa il 10 % delle armi per uso privato in circolazione nel mondo sono proprio nei 50 stati a stelle e strisce.

Ecco quindi l’altro nodo cruciale della questione: troppe armi legittimano i rischi di maggiori scontri a fuoco e, pertanto, un Far West nel quale i poliziotti non possono essere eccessivamente colpevolizzati di fronte ad un criminale armato; onde evitare che anche Washington, New York, Chicago e San Francisco seguano il triste esempio di Roma, Torino, Milano, Napoli e Palermo dove si è già innescata una spirale persecutoria contro le forze dell’ordine per le quali è ormai rischiosissimo usare l’arma di ordinanza anche in situazioni di pericolo e di legittima difesa.

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I saccheggi delle boutique delle metropoli, gli incendi di auto e stabili pubblici avvenuti durante le proteste dei Black Lives Matter cavalcate dai guerriglieri di professione dell’Antifa implicati con i terroristi ISIS e Al Qaeda (come scoperto dall’FBI e svelato nel precedente reportage) possono soltanto innalzare il livello dello scontro sociale.

Ma negli Usa come in altre parti dell’Occidente lo scontro non è tra neri e bianchi, confinato a frange di estremisti di entrambe le razze fortunatamente minoritarie in molti paesi della terra, ma è tra autentici non violenti e violenti ad orologeria, tra cittadini del mondo che ancora un poco credono nella giustizia contrapposti a rivoluzionari fanatici dell’arido buonismo ma nemici della bontà concreta capaci di trasformarsi “ad libitum” in vandali aggressivi esperti di tecniche paramilitari per perpetrare, su ispirazione di sinistre forze politiche,  le vendette sociali in piazza come accadde nel Regime del Terrore dei Giacobini durante la Rivoluzione Francese.

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I prostestanti  riottosi sono purtroppo fomentati e supportati dal Deep State degli investitori della Lobby delle Armi che hanno il fortissimo interesse a trasformare l’intero Nord America in un gigantesco Bronx: dove la tranquillità potrà regnare solo nelle isole felici di Manhattan protette da contractors privati.

Questi stessi finanzieri avvoltoi speculano anche sulle case farmaceutiche e sugli esperimenti dual-use vaccino-arma batteriologica che, secondo già 15 scienziati, un ex capo dell’intelligence britannica, un ex presidente iraniano e un cardinale dello Sri Lanka, hanno creato in laboratorio il SARS-CoV-2 della recente e devastante pandemia.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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GOSPA NEWS – INCHIESTE LOBBY ARMI

 

 

 

 

 

 

 

 

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