REDDITO DI CITTADINANZA: SCHIAFFO UE ALLA MELONI. Infrazione dell’Italia per i Migranti. Che Salveranno gli Italiani Poveri

REDDITO DI CITTADINANZA: SCHIAFFO UE ALLA MELONI. Infrazione dell’Italia per i Migranti. Che Salveranno gli Italiani Poveri

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di Redazione Gospa News

Sembrava che la premier Giorgia Meloni fosse riuscita ad imporre la sua dittatura sociale ma dall’Unione Europea arriva una sorpresa che potrebbe far riaprire il capitolo malamente chiuso dal governo sul reddito di cittadinanza.

Nonostante i sorrisoni che i vertici UE hanno dispensato al Presidente del Consiglio italiano durante le sue apparizioni a Bruxelles ecco un primo pesante schiaffo alla leader di Fratelli d’Italia che potrebbe costringerla a rivedere la legge secondo i criteri degli altri paesi europei: tra i quali soltanto la Grecia non ha una misura di contrasto alla povertà per i disoccupati di lungo corso.

Al momento la questione è assai specifica e riguarda soltanto i migranti ma l’intervento a gamba tesa dell’UE poche settimane la decisione governativa di tagliare il RdC riducendolo a 7 mensilità anziché 12 nel 2023 pare un monito a rivedere ogni decisione secondo gli orientamenti di contrasto alla povertà già espressi nel settembre scorso da Bruxelles. Una decisione politica apparsa particolarmente aspra e ingiusta soprattutto perché i 700 milioni di euro risparmiati sono stati subito dirottati nell’acquisto dei vaccini Covid, sperimentali e assai pericolosi (come sostenuto anche dallo studio di una ricercatrice dell’Istituto Superiore della Sanità di Roma)

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La Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia, con una lettera di messa in mora, perché le condizioni di accesso al reddito di cittadinanza contrastano con le norme Ue sulla libera circolazione dei lavoratori e sui diritti dei cittadini. Si tratta, in particolare, dell’obbligo di aver risieduto in Italia per almeno 10 anni: il reddito, secondo l’esecutivo Ue, dovrebbe essere accessibile ai cittadini Ue che ne hanno diritto, a prescindere dal loro passato per quanto concerne la residenza.

 

Il requisito dei dieci anni di residenza in Italia per la Commissione costituisce una “discriminazione indiretta”, poiché è più probabile che cittadini non italiani non lo rispettino. Il reddito, tra l’altro, discrimina anche i beneficiari della protezione internazionale, che non hanno accesso alla misura. Infine, il requisito della residenza potrebbe scoraggiare gli italiani dall’andare a lavorare all’estero, dato che potrebbero non essere più qualificati per il reddito, una volta tornati. Roma ha due mesi di tempo per rispondere; in caso contrario la Commissione potrebbe decidere di portare la procedura allo stadio successivo: il parere motivato.

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A questo punto è lecito domandarsi che senso abbia l’intervento UE nel momento in cui con la manovra di bilancio la premier Meloni ha ridotto il sussidio RdC, per poi toglierlo dal 2024, agli under 60 che non abbiano in casa figli minori o disabili. Una decisione attuata con il machete, ovvero considerando “abili al lavoro” tutti i beneficiari al di sotto di quella soglia di età senza una minima verifica delle loro condizioni psicofisiche e sociali.

«Il reddito minimo è costituito da pagamenti in contanti che aiutano le famiglie che ne hanno bisogno a colmare lo scarto rispetto a un determinato livello di reddito per pagare le bollette e condurre una vita dignitosa. Tali pagamenti sono particolarmente importanti in periodi di recessione economica perché contribuiscono ad ammortizzare il calo del reddito delle famiglie per le persone più bisognose, contribuendo in tal modo a una crescita sostenibile e inclusiva» ha scritto la Commissione UE lo scorso 27 settembre 2022.

Ma Meloni, dopo aver avviato una campagna di odio politico contro i percettori del reddito di cittadinanza come se la disoccupazione cronica non fosse un problema italiano, se n’è fregata di quel suggerimento e, con la complicità di due sottosegretari che hanno sempre vissuto di raccomandazioni politiche per lavorare (Fazzolari e Durigon) ha cancellato con un colpo di spugna il provvedimento di sostegno varato dal Governo di Conte (Lega-Movimento5Stelle) nel 2018.

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Lo ha fatto incurante della drammatica circostanza che l’Italia, a differenza degli altri paesi europei dove il sostegno sociale esiste da molti anni, ha un indice di disoccupazione cronicamente alto che oscilla intorno al 9 % e che il 28 % degli occupati, secondo i dati INPS, hanno un reddito annuo inferiore a quello del reddito di cittadinanza (780 euro per la persona singola che vive in affitto, 500 per chi ha una casa di proprietà o in usufrutto).

A questo punto il Governo Italiano ha tre opzioni per rispondere alle infrazioni.

Non curarsi della procedura, aspettare che faccia il suo corso e trattare una soluzione in extremis per non ricevere una multa e non vedersi bloccati i fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).

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Adeguare la norma vigente estendendola anche agli stranieri come chiesto dalla Commissione UE senza modificare i limiti imposti dalla revisione della legge (7 mensilità al massimo e privazione del beficio al primo rifiuto di un’offerta lavorativa).

Oppure ammettere di aver ottenuto una decisione totalmente inadeguata in un momento di crisi globale, creata ad arte da pandemia da SARS-Cov-2 da laboratorio e guerra in Ucraina, e ripristinare l’aiuto per migranti e italiani in attesa di modificare le metodologie per l’inserimento al lavoro dei percettori.

In qualunque caso il messaggio che arriva da Bruxelles è chiaro: il RdC va salvato nel nome dei migranti. Che per un assurdo paradosso potrebbero diventare la ragione per mantenere la misura di sostegno anche agli italiani poveri.

Carlo Domenico Cristofori
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