COVID-19, SPERANZA STOPPA CURE EFFICACI A CASA (cortisone) E VITAMINA D. Ma Londra la regala a 2,5 milioni di persone vulnerabili

COVID-19, SPERANZA STOPPA CURE EFFICACI A CASA (cortisone) E VITAMINA D. Ma Londra la regala a 2,5 milioni di persone vulnerabili

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di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

Non sono un medico ma ho intervistato numerosi esperti sulla pandemia. Inoltre basta un po’ di buon senso per ritenere assurdo il piano terapeutico  partorito dallo staff del ministro Roberto Speranza. Il Dicastero guidato dallo stesso politico che nella primavera scorsa prescrisse agli ospedali di non effettuare le autopsie (invitando anche la magistratura a non eseguirle), rivelatesi fondamentali per rilevare le embolie massive polmonari causate dai trombi innescati dalle anomale infiammazioni conseguenti alle polmoniti interstiziali causate da Covid-19, oggi nel vademecum delle cure domestiche stoppa proprio l’uso immediato dell’eparina e del cortisone che si rivelarono provvidenziali a salvare molte vite.

Il Ministro della Salute Roberto Speranza

Ma non solo. Probabilmente desideroso di far scordare i motivi per cui il duce Benito Mussolini fondò le comunità elioterapiche e le colonie estive per consentire ad anziani e bambini poveri di fare bagni di sole per una riserva naturale di vitamina D quale potente stimolatore immunitario naturale in vista delle sindromi respiratorie invernali (e della TBC allora ancora diffusa), il Ministero della Salute mette al bando anche quei rimedi semplici, economici e proverbiali che i nostri genitori ci insegnarono fin da piccoli ad utilizzare: vitamine C e D non servono a nulla contro la malattia provocata dal virus SARS-Cov-2, secondo il Comitato Tecnico Scientifico che ha fornito le linee guida al Dicastero per sfornare una circolare attesa non tanto delle famiglie quanto dai Medici di base.

Speranza, d’altronde, non si è mai occupato di sanità in vita sua e ricopre tale incarico in virtù della sua laurea in Scienze Politiche all’Università Luiss di Roma, intitolata al banchiere e massone Guido Carli, ed alle sue esperienze da deputato con il PD prima e Liberi e Uguali poi.

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Al di là della bocciatura attesa dell’idrossiclorichina (autorizzata off-label dall’Agenzia del Farmaco solo per test clinici ospedalieri) arriva anche sull’immediato uso dei cortisonici, suggeriti fin dai primi sintomi da 34 medici in una lettera indirizzata allo stesso ministro lo scorso 24 aprile e rimasta senza risposta ufficiale, e dell’eparina che fu fondamentale proprio per scongiurare i trombi durante l’azione degli antinfiammatori.

A sconfessare le teorie cervellotiche del Ministero della Salute della Repubblica Italiana ci hanno pensato però il National Health Service, il servizio sanitario britannico, e il network Russia Today che è stato tra i pochi a riportare la clamorosa notizia: NHS ha infatti deliberato di donare dosi di vitamina D a circa 2,5 milioni di persone vulnerabili (anziani e malati) proprio perché si è ritenuto fondamentale, come anche un bimbo delle elementari sa, incentivare le difese immunitarie con un prodotto del tutto naturale e ben assimilabile dall’organismo.

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«A causa degli incredibili sacrifici fatti dal popolo britannico per controllare il virus, molti di noi hanno trascorso più tempo in casa quest’anno e potrebbero essere carenti di vitamina D», ha detto il segretario alla Salute Matt Hancock, l’omologo intelligente di Speranza…

 

CONFUSIONE E SCONTRI SULLE CURE DOMICILIARI

La circolare ministeriale avrebbe dovuto fare “chiarezza nella giungla dei protocolli regionali” secondo alcuni media di mainstream che ascoltano solo la voce del ministro, ma rischia di confondere ancor di più le idee soprattutto ai medici di famiglia che dovrebbero essere i primi in trincea nella difesa della salute pubblica ed individuale. Il condizionale è d’obbligo perché la Regione Piemonte, pioniera nel proporre un proprio protocollo di assistenza domiciliare per la medicina generale periferica, ha dovuto superare le forche caudine dei sindacati e promettere un “extra” a prestazione per tutti i dottori della mutua per l’apertura dell’assistenza Covid-19 facendo però infuriare gli infermieri delle USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) rimasti a bocca asciutta nonostante l’impegno sul campo.

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Sulla questione ci sarebbe da scrivere molti articoli ma per brevità ci limitiamo alla protesta di un sindacato degli infermieri sollevata da Claudio Delli Carri, Segretario Regionale del Piemonte del Nursing Up: «Il protocollo prevede che a fronte di Segnalazione del paziente positivo al Covid (e si badi bene non un visita, ma solo una segnalazione informatica!) da parte del medico di medico generale, allo stesso vengano corrisposti 70€, e ad ogni contatto telefonico (anche qui si badi bene telefonico, non accesso domiciliare!) sempre al medico di medicina generale vengano corrisposti 20€”. La verità è che il protocollo prevede il coinvolgimento dei medici USCA, deputati al controllo clinico domiciliare, e degli infermieri delle Cure Domiciliari, inoltre teniamo a precisare che se ci sono alcuni medici che da febbraio hanno sospeso completamente le visite domiciliari, mentre gli infermieri a casa dei pazienti Covid ci sono sempre andati, sin da febbraio, anche indossando sacchi di plastica da macellaio e mascherine chirurgiche per proteggersi, anziché tute apposite e filtranti facciali, rischiando la propria salute e senza nemmeno uno straccio di riconoscimento contrattuale di indennità malattie infettive (che ammonterebbe comunque alla miseria di 5,16 € al giorno!!)».

“CON GLI ANTIBIOTICI NESSUN PAZIENTE E’ MORTO“

Ma l’apoteosi di un vademecum che risulta persino sospetto, come se troppe rapide guarigioni senza passare dalle terapie intensive potessero nuocere contro la campagna vaccinale e il relativo business ormai in fase di decollo, giunge nel mettere al bando anche gli antibiotici. In questo articolo non vogliamo dare risposte scientifiche perché richiederebbero lunghe e approfondite interviste ad operatori sanitari competenti. Mi limito a riportare una parte dell’intervista rilasciata nelle scorse settimane a La Nuova Bussola Quotidiana dalla dottoressa Maria Grazia Dondini, medico di Monterenzio, in provincia di Bologna.

«La medicina territoriale è stata esclusa dai giochi e si è voluto creare una distanza tra noi e i pazienti. Noi medici di medicina generale, tutti gli anni, generalmente da ottobre a marzo, vediamo polmoniti interstiziali, polmoniti atipiche. E tutti gli anni le trattiamo con antibiotico. Si tratta di pazienti che vengono in ambulatorio con sintomi simil-influenzali – tosse, febbre, poi compare “senso di affanno” – che non si esauriscono nell’arco di qualche giorno. La valutazione del paziente e l’evoluzione clinica depongono per forme batteriche; si dà loro un antibiotico macrolide (e nei casi più complicati del cortisone) e, nell’arco di qualche giorno, si riprendono egregiamente con completa risoluzione dei sintomi» ha spiegato Dondini.

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«Il 22 febbraio di quest’anno è stata comunicata la circolazione di un nuovo coronavirus. Il Ministero della Salute ha mandato un’ordinanza a tutti noi medici del territorio, dicendoci sostanzialmente che eravamo di fronte a un nuovo virus, sconosciuto, per il quale non esisteva alcuna terapia. La cosa paradossale è che fino a quel giorno avevamo gestito i medesimi pazienti con successo, senza affollare ospedali e terapie intensive; ma da quel momento si è deciso che tutto quello che avevamo fatto fino ad allora non poteva più funzionare. Non era più possibile un approccio clinico/terapeutico. Noi, medici di Medicina generale, dovevamo da allora delegare al dipartimento di Sanità Pubblica, che non fa clinica, ma una sorveglianza di tipo epidemiologico; potevamo vedere i pazienti solamente se in possesso di mascherina FFP2, che io ho potuto ritirare all’ASL solo il 30 di marzo. Ma c’è una cosa più grave».

«Nella circolare ministeriale, il Ministro della Sanità ci dava le seguenti indicazioni su come approcciarci ai malati: isolamento e riduzione dei contatti, uso dei vari DPI, disincentivazione delle iniziative di ricorso autonomo ai servizi sanitari, al pronto soccorso, al medico di medicina generale. Dunque, le persone che stavano male erano isolate; e, cosa ancora più grave, il numero di pubblica utilità previsto non rispondeva. Un ministro della salute che si accinge ad affrontare una emergenza sanitaria prevede che i numeri di pubblica utilità non rispondano? Un disastro.
 In sintesi: le polmoniti atipiche non sono state più trattate con antibiotico, i pazienti lasciati soli, abbandonati a se stessi a domicilio. Ovviamente dopo 7-10 giorni, con la cascata di citochine e l’amplificazione del processo infiammatorio, arrivavano in ospedale in fin di vita. Poi, la ventilazione meccanica ha fatto il resto» evidenzia la dottoressa bolognese.

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«Io ho continuato a fare quello che ho sempre fatto, rischiando anche denunce per epidemia colposa, e non ho avuto né un decesso, né un ricovero in terapia intensiva. Ho parlato con una collega di Bergamo e un altro collega di Bologna, che hanno continuato a lavorare nel medesimo modo, e nessuno di noi ha avuto decessi e ricoveri in terapia intensiva. Anche l’OMS ha dato indicazioni problematiche: nelle prime fasi della malattia ha previsto solo l’isolamento domiciliare, nella seconda e terza fase, quindi condizioni di gravità moderata e severa, l’unico approccio terapeutico previsto doveva essere l’ossigenoterapia e la ventilazione meccanica. A mio modo di vedere c’è una responsabilità anche dell’OMS, perché non ha dato facoltà al medico di valutare clinicamente il paziente» conclude Dondini.

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La stessa OMS è quella che ha sconsigliato le terapie cortisoniche a metà marzo salvo poi riabilitarle a metà giugno quando lo studio Recovery dell’Università di Oxford ne dimostrò l’efficacia in terapia intensiva. Ma già il 24 aprile la dottoressa Roberta Ricciardi, neurologa nell’ambulatorio del Percorso di Miastenia e Chirurgia del Timo nell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, aveva segnalato al ministro Speranza, in un’accorata lettera firmata da altri 33 medici tra cui il professor Piero Sestili, ordinario di Farmacologia dell’Università di Urbino che ne fu l’ispiratore, che i cortisonici come il desametasone erano miracolosi ma andavano prescritti fin dai primi sintomi per bloccare l’infiammazione. Ricciardi segue i pazienti miastenici dopo essersi guarita da sola da giovane da questa patologia iperimmune che può creare gravissime complicazioni respiratorie anche letali.

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Come si può leggere nel vademecum sintetizzato nell’articolo dell’Ansa il Dicastero della Salute ha invece dato ascolto alle indicazioni della Oxford University sebbene i trials clinici Recovery abbiano salvato il 30 % dei pazienti con la cura cortisonica in terapia intensiva e la neurologa pisana non avesse registrato un solo decesso tra i suoi 7mila malati di miastenia. Giova ricordare che lo studio Recovery fu finanziato tra gli altri dalla Bill & Melinda Gates foundation che sta promuovendo tutti i vaccini anti-Covid-19 tra cui quelli del Jenner Institute della stessa Oxford University di cui ha rilevato il brevetto AstraZeneca collaborando con l’IRBM di Pomezia Terme, finanziato dal governatore del Lazio Nicola Zingaretti, segretario PD, e con ReiThera, società creata dall’altro colosso dei vaccini londinese GlaxoSmithKline nella stessa regione.

La battuta viene davvero facile. Finchè c’è morte e rianimazione c’è Speranza! Per i vaccini… Pertanto come si dovrebbe curare un malato positivo al Covid-19 che manifesti i primi sintomi seri di febbre, tosse o mal di gola? Solo paracetamolo per alcuni giorni. E’ l’unica indicazione data dal Ministero che forse non ha sentito parlare di quel 46enne presentatosi in ospedale a Torino e rimandato a casa solo con quella terapia e poi morto dopo 72 ore su cui sta indagdando la Procura della Repubblica dopo la denuncia dei parenti.

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Ma non pare abbia letto nemmeno il parere dottor Stefano Manera, anestesista-rianimatore da 16 anni, giò impegnato a Bergamo e ora direttore del reparto Covid dell’ospedale di Castellanza (VA) e nemmeno una recente ricerca pubblicata da un accademico di Farmacologia.

«Purtroppo non c’è una motivazione scientifica sul paracetamolo. All’inizio potevamo pensare che, presentandosi il paziente in stato febbrile, un antipiretico fosse il farmaco giusto. Ma si è capito molto presto che la febbre non è il problema del paziente Covid. Anzi, la febbre non è mai il problema, a meno che non resti elevata per molto tempo. Il problema è l’infiammazione ed è lì che si deve lavorare. Il fatto che ancora oggi si lascino pazienti a casa a “friggere” senza altro che il paracetamolo è un clamoroso errore, che non possiamo più permetterci» ha dichiaro Manera a La Nuova Bussola.

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«Il paracetamolo fa incetta delle scorte di glutatione, che è un potente antiossidante. Questo lo sappiamo da tempo. Nei bambini, in particolare, che hanno poco glutatione, se somministriamo loro la tachipirina, perdono parte delle difese contro l’ossidazione. C’è uno studio uscito da qualche settimana, firmato dall’amico professor Piero Sestili, Ordinario di Farmacologia all’Università di Urbino (vedi qui), che dice chiaramente che il paracetamolo deprime le riserve di glutatione e quindi priva l’organismo delle proprie risorse difensive» aggiunge l’anestesista citando lo stesso farmacologo che ha sostenuto la necessità di un tempestivo intervento coi cortisonici.

Ma il Ministero della Salute prosegue dritto nel suo tunnel: un “lockdown della scienza“ come fu definita da Il Giornale la scelta di pecludere alle stratture sanitarie la possibilità delle autopsie. In fondo al quale, più che la luce di una pronta guarigione, luccicano solo i marchi delle Big Pharma dei vaccini.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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FONTI PRINCIPALI

RUSSIA TODAY – VITAMINA D GRATIS IN INGHILTERRA

IL TORINESE – PROTESTA DEGLI INFERMIERI USCA

LA BUSSOLA – MALATI COVID GUARITI CON GLI ANTIBIOTICI

CORRIERE – MALATO COVID MUORE DOPO LA CURA CON PARACETAMOLO

LA BUSSOLA – I DUBBI SUL PARACETAMOLO

FRONTERSIN – CONSUMO DI GLUTATIONE INDOTTO DA PARACETAMOLO

 


ANSA – CURE A CASA PER I PAZIENTI COVID

Il testo integrale dell’articolo Ansa

È stata trasmessa oggi, tra gli altri, a ministeri, Protezione civile e Ordini dei medici, e sarà pubblicata a breve, la circolare del ministero della Salute ‘Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SarsCov2’.

Le raccomandazioni si riferiscono alla gestione farmacologica in ambito domiciliare dei casi lievi di Covid-19 e si applicano sia ai casi confermati sia a quelli probabili. Tra le indicazioni, l’utilizzo di saturimetri per la misurazione dell’ossigeno e l’impiego di eparina e antibiotici solo in particolari casi. Si indica inoltre di non utilizzare idrossiclorochina la cui efficacia non è stata confermata.

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Vigile attesa, misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno tramite saturimetri, trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo), appropriate idratazione e nutrizione e non modificare terapie croniche in atto per altre patologie (es. terapie antiipertensive o anticoagulanti), in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni preesistenti. Queste alcune delle indicazioni previste nella circolare del ministero della Salute per la gestione domiciliare dei pazienti Covid.

In particolare, nei soggetti a domicilio asintomatici o paucisintomatici, sulla base delle informazioni e dei dati attualmente disponibili, la circolare raccomanda che per i soggetti in trattamento immunosoppressivo cronico per un precedente trapianto di organo solido piuttosto che per malattie immunomediate, la prosecuzione del trattamento farmacologico in corso a meno di diverse indicazioni. Rispetto si farmaci cui fare riferimento, si raccomanda di non utilizzare routinariamente corticosteroidi (il loro uso è raccomandato nei soggetti con malattia COVID-19 grave che necessitano di supplementazione di ossigeno.

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L’impiego di tali farmaci a domicilio può essere considerato solo in quei pazienti il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore, in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia); non utilizzare eparina (l’uso è indicato solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto); non utilizzare antibiotici (il loro eventuale uso è da riservare solo in presenza di sintomatologia febbrile persistente per oltre 72 ore o ogni qualvolta in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica). Si indica inoltre di non utilizzare idrossiclorochina, “la cui efficacia non è stata confermata in alcuno degli studi clinici controllati fino ad ora condotti”.

Si raccomanda anche di non somministrare farmaci mediante aerosol se in isolamento con altri conviventi per il rischio di diffusione del virus nell’ambiente. La circolare sottolinea poi che “non esistono, ad oggi, evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato”.

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Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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