INFERNO SAHEL: JIHADISTI AFRICANI TRUCIDANO PRETI E CRISTIANI

INFERNO SAHEL: JIHADISTI AFRICANI TRUCIDANO PRETI E CRISTIANI

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SUORA DI 77 ANNI DECAPITATA IN RITO MACABRO
SACERDOTI E FEDELI UCCISI DURANTE LA MESSA:
I SIGNORI DELLA GUERRA DI AL QAEDA – ISIS
SEMPRE PIU’ ARMATI DOPO L’ARRIVO DEI FRANCESI.
L’INTELLIGENCE AFRICANA ALLERTA TUTTE LE CHIESE

SOS PER L’INVASIONE DEI PASTORI COI KALASHNIKOV

di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

Nel solo mese di maggio, forse fomentati dal periodo di Ramadan, gli estremisti islamici jihadisti hanno scatenato la loro furia omicida contro i Cristiani nel Sahel africano. Nell’arco di poche settimane, dal 5 aprile al 22 maggio, solo in Burkina Faso in quattri differenti attacchi durante cerimonie religiose hanno freddato a colpi di fucili automatici un prete cattolico ed un pastore protestante coi suoi due figli, facendo un massacro di 16 fedeli. Ma dalla fine di marzo ai primi di aprile sono state più di 60 le vittime degli islamisti nel paese. Nella Repubblica Centrafricana, invece, la scorsa settimana è stata decapitato una suora, Mentre in Mozambico un sacerdote è stato accoltellato così come un altro in Burkina (ma questo per motivi personali). Nei giorni scorsi è stato ammazzato anche un parroco del Salvador per non aver accettato l’estorsione della malavita

Dall’inizio del 2019 sale così a 12 il numero dei consacrati uccisi tra l’America Latina (3) e l’Africa (9). Ma è nel Continente Nero che i Vescovi hanno ricevuto un allarme da codice rosso dall’intelligence africana (Acsis) per imminenti pericoli in Ghana ma soprattutto nei paesi del Sahel. Qui l’allerta è massima anche per l’invasione dei pastori musulmani Peuls, tutti armati dei fucili d’assalto semiautomatici kalashnikov, dovuta alla desertificazione dei pascoli ma soprattutto alle strategie dei gruppi jihadisti vicini all’Isis e ad Al Qaeda che mirano a mettere sempre più in minoranza i Cristiani e a far esplodere conflitti transnazionali come avvenuto soprattutto nell’ultimo decennio in Medio Oriente.

Una chiesa distrutta dagli estremisti islamici in Nigeria

Lo spostamento dei mandriani è incentivato dai signori della guerra per creare continui attriti tra le comunità etniche e religiose e l’esplosione di scontri militari di più vaste dimensioni, con la benedizione delle lobby delle armi di Usa, Uk, Francia, Germania ma anche Italia, sempre intraprendenti in questo grande business, e degli stessi governi occidentali interessati ad un’occulta colonizzazione dei paesi del Continente Nero per le sue preziose risorse nel sottosuolo.

La mappa degli attacchi terroristici nel Sahel dal 2015 al 2018 – IHS MARKIT – clicca per leggere il dossier

Non pare solo una semplice coincidenza che i fondamentalisti islamici salafiti della Jihad abbiano iniziato la loro prepotente e sanguinaria ascesa proprio dopo l’arrivo dei militari francesi nei paesi del Sahel, ricchi di petrolio, gas naturali, oro e diamanti. La destabilizzazione terroristica incrementa infatti la necessità di una stabilizzazione internazionale con governi controllabili dall’occidente,

Dal 2015 ci sono stati ben 350 morti in attacchi terroristici musulmani solo in Burkina Faso e secondo uno studio della società IHS Markit tra il 2015 e il 2018, il numero complessivo di attentati in quella nazione e nelle altre saheliane di Ciad, Mali, Mauritania, Niger e Nigeria è cresciuto in del 80,2%, mentre le vittime sono aumentate del 62,5%.

Un allarme di rilevanza internazionale perché connesso alla tratta di esseri umani e i flussi migratori verso l’Italia e l’Europa.  L’emergenza è ben nota in Nigeria per la presenza dei jihadisti di Boko Haran e dei pastori Fulani che ora mettono in allarme anche il Centrafrica mentre i terroristi di Ansar ul Islam da alcune settimane stanno seminando il terrore in Burkina Faso.

 

LA SCIA DI SANGUE DEGLI ISLAMICI PEULS

Alcuni pastori nigeriani Fulani sempre armati da guerriglieri

«I signori della guerra locali stanno facilitando la progressione dei pastori Peuls (o Fulani) nella nostra zona, creando allarme tra la popolazione. In tutto il Sahel il loro lo spostamento con milioni di bovini sta destabilizzando intere aree di Nigeria, Niger, Burkina Faso, Camerun, Ciad ed ora Repubblica Centrafricana, per i conflitti che suscitano tra questa popolazione di pastori nomadi e quelle locali, di agricoltori sedentari. Purtroppo i Peuls, che sono ben armati, nel loro percorso lasciano una scia di sangue che si allunga di giorno in giorno: sono musulmani e le popolazioni locali sono cristiane» dice all’Agenzia Fides monsignor Juan José Aguirre Muños, Vescovo di Bangassou spiegando che questa invasione sta «accentuando le tensioni interreligiose già presenti in Centrafrica».

Ali Darassa, un musulmano Fulano Peuls di origini nigeriane divenuto signore della guerra nel Sahel

 

Monsignor Juan Jose-Aguirre, Vescovo di Bengassou nella Repubblica Centrafricana

La prima causa di questo movimento è la desertificazione delle pianure della striscia dell’Africa centrale compresa tra il deserto del Sahara a Nord e la savana del Sudan a meridione. «Capiamo il dramma dei Puels vittime della desertificazione, ma nessuno ha chiesto il permesso alle popolazioni centrafricane che già vivono in condizioni durissime. Sono arrivati a migliaia: uomini, donne, bambini con le loro mandrie e si stanno dirigendo nella nostra zona – evidenzia monsignor Aguirre con grande preoccupazione – se i flussi dovessero continuare a questi ritmi, entro pochi anni, nel sud-est del Centrafrica potrebbe arrivare fino a due milioni di Fulani».

«Le popolazioni locali sono allarmate per il loro futuro – aggiunfe il vescovo del paese centrafricano – La cosa certa è che si sta facendo di tutto per aprire dei corridoi attraverso i quali passano i Peuls alla ricerca di acqua e pascoli. I signori della guerra hanno avanzato la richiesta di trasformare una parte dell’area della missione di Obo in un parco naturale in modo da cacciare gli agricoltori e permettere l’insediamento dei Peuls con milioni di capi di bestiame. Uno dei signori della guerra legato ai Peuls è Ali Darassa, un Fulani nigeriano, ed è il principale organizzatore di questi corridoi».

 

 

LE STRAGI MUSULMANE IN BURKINA FASO: 350 MORTI DAL 2015

Un pick-up Toyota con mitragliatrice dei miliziani Ansar Ul Islam, i partigiani dell’Islam in Burkina Faso

«L’Onu ha espresso la sua profonda preoccupazione per il continuo deterioramento della sicurezza e della situazione umanitaria e ha affermato la “volontà di contribuire a prevenire un’ulteriore destabilizzazione” non solo in Burkina Faso ma in tutti i Paesi che fanno parte del cosiddetto G5 e cioè Ciad, Mali, Mauritania e Niger» scrive Cecilia Seppia sul sito di Vaticans News in merito alle uccisioni di cristiani avvenute nelle ultime settimane

NIGERIA: STRAGE DI CRISTIANI, UCCISI 2 PRETI. IL PAPA: «ATTENTATI DISUMANI»

I Paesi del Sahel si trovano infatti a fronteggiare un incontrollabile conflitto umanitario con 150 mila sfollati solo in Burkina, 600 mila in Ciad e oltre mezzo milione di bambini privi di scolarizzazione. «La lotta contro il terrorismo e il crimine nel Sahel è una responsabilità collettiva è tempo che si prenda in considerazione la creazione di una coalizione internazionale – ha dichiarato il capo della diplomazia del Burkina Faso al Consiglio di sicurezza dell’ONU, Alpha Barry, parlando a nome dei cinque paesi membri della Forza G5-Sahel e suggerendo che questi flagelli devono essere «trattati con la stessa determinazione di quelli che hanno prevalso in Iraq e Afghanistan».

Purtroppo è altresì noto che i conflitti tra etnie locali e gruppi terroristici jihadisti, sovente finanziati e protetti dagli Usa come avvenuto proprio in Afghanistan nello scontro tra le truppe americane e i Talebani, a volte si sono ancor più inaspriti con l’intervento di una coalizione internazionale. In Siria, infatti, la Coalition against Daesh ha bombardato in lungo e in largo, senza autorizzazione Onu ma legittimata solo dal diritto di veto della Casa Bianca nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

La bandiera nera del gruppo salafita – qaedista del Burkina Faso denominato Ansar Ul Islam

Secondo l’agenzia dei missionari Fides «tra domenica 31 marzo e martedì 2 aprile almeno 62 persone hanno perso la vita nei pressi di Arbinda, nel nord del Burkina Faso, al confine con il Mali, in un attacco jihadista seguito da scontri inter comunitari». Dal 2014, la Francia ha schierato 4.500 militari nella zona del Sahel, nel quadro dell’operazione anti-jihadista Barkhane, in collaborazione con i Paesi del G5 Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger) «ma – scrive Vaticans News – senza venire a capo dell’attività di organizzazioni come Ansar-ul Islam, lo Stato islamico del grande Sahara, o il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani che dal 2015, nel solo Burkina Faso, hanno provocato almeno 350 morti». Anzi, come detto in precedenza, la militarizzazione ha prodotto un incremento della forza dei jihadisti armati sempre più potentemente.

 

ASCESA DI GRUPPI JIHADISTI DOPO L’ARRIVO DEI FRANCESI

«Fino a poco più di tre anni fa, il Burkina Faso era considerato immune dai conflitti etnico-religiosi che caratterizzano la vasta area del Sahel. Ma a partire dagli attentati dei jihadisti di al-Murabitun (gruppo legato ad al-Qaeda) del 15 gennaio 2016 nella capitale Ouagadougou, la situazione è radicalmente cambiata – scrive Marco Cochi in un dettagliato articolo su Negrizia che prende spunto da uno studio americano – L’ennesima dimostrazione si è avuta nelle ultime quattro settimane con la ripresa gli attacchi contro i luoghi di culto della minoranza cristiana»

Un soldato francese nell’Operazione Barkhena in Sahel

«Anche se non è pervenuta alcuna rivendicazione ufficiale, i principali sospettati degli attacchi sono i membri di Ansar ul islam (protettori dell’islam), gruppo jihadista burkinabé, che avrebbe legami sia con il sedicente Stato islamico nel grande Sahara (Isgs) che con al Jama’at nusrat al islam wal Muslimin (Jnim), il cartello sorto all’inizio del marzo 2017, che riunisce nell’orbita qaedista i gruppi armati salafiti più attivi nella regione – si legge ancora nel sito Negrizia – Ad Ansar ul Islam ha dedicato un’approfondita analisi Critical threats (Ct), un progetto di valenza geopolitica curato dall’American enterprise institute (Aei) di Washington. Lo studio indaga prevalentemente sulle ragioni che hanno consentito al movimento estremista, fondato nel dicembre 2016 dal defunto jihadista di etnia fulani Malam Ibrahim Dicko, di guadagnarsi il sostegno di buona parte della popolazione locale».

Al di là delle motivazioni per cui la propaganda Jihad ha fatto inevitabile presa su musulmani nomadi, perlopiù analfabeti e dediti alla pastorizia come i Peuls, bisogna prima di tutto leggere gli eventi in un più ampio quadro geopolitico in cui funge da lente d’ingrandimento la storia del Medio Oriente: in particolare quella della Siria e dello Yemen.

Nel primo paese gli Usa hanno finanziato e armato i ribelli FSA, in alcuni casi anche i miliziani Isis, che hanno consentito allo Stato Islamico di espandersi prima di essere sconfitto dall’esercito siriano SAA grazie all’appoggio della Russia. La guerra scatenata contro l’Isis a Baghouz e ad Deir Ezzor dalle milizie curde Qasad-SDF con l’appoggio dei bombardamenti Us Air Force è stata mirata solo al controllo di una zona desertica vicino all’Eufrate ricca di petrolio.

SPORCO DOPPIO GIOCO USA: ISIS LIBERO IN CAMBIO DI ORO

In precedenti reportage abbiamo riferito dei capi Isis iberati dagli Usa e trasportati in Iraq (e da lì in Afghanistan secondo l’ultimo allarme dell’intelligence russa FSB) ma anche in Nigeria. In molteplici occasioni gli attacchi americani con i missili Tomahawk sulla Siria sono stati appoggiati dalla marina francese, ad esempio il 17 settembre 2018, grazie alla fregata Auvergne.

YEMEN: MISSILE SAUDITA MASSACRA BIMBI IN OSPEDALE

Nello Yemen la coalizione guidata dall’Arabia Saudita combatte a fianco dei jihadisti sunniti di Al Qaeda contro gli Sciiti dell’etnia Houti e ha fatto affidamento sugli aiuti militari Usa fino all’uccisione del giornalista Jamal Kashoggi, quando il Congresso ha imposto al presidente americano Donald Trump lo stop della fornitura di armi statunitensi a Riad.

Tra i principali fornitori di materiale bellico e sistemi di difesta dell’Arabia Saudita c’è anche la stessa Francia attraverso la holdings Thales, partecipata dal governo e dalla famiglia Dassault, che ha ben due sedi a Riad ed una terza Al Jubayl, città affacciata sul Golfo Persico.

La nave cargo saudita Bahri Yanbu

Proprio nei giorni scorsi il carico sulla nave cargo saudita Bahri Yanbu di una fornitura di cannoni obice Caesar di fabbricazione franco-olandese (Giat Industries, gruppo Kmw-Nexter) è stata bloccata dalle proteste dei gruppi pacifisti prima nel porto di Le Havre e poi in quello di Genova quando, come riporta Reuters, «il governo si è rifiutato di fornire dettagli sull’ordine delle armi».

Il cannone semovente Caesar prodotto dalle industrie francesi Giat del gruppo olandese Kmw-Nexter

Il timore degli attivisti è che fossero infatti destinate al conflitto che sta dilaniando lo Yemen per il quale l’Onu ha imposto l’embargo, ignorato da molti paesi, all’importazione di armi. Dopo le proteste dei sindacati portuali genovesi il cargo ha lasciato Genova dirigendosi vero il porto di La Spezia per effettuare lì il carico. Secondo alcuni media locali sarebbe riuscita a completare il trasbordo dei cannoni francesi e del gruppo elettrogeno di produzione italiana. Quindi ha lasciato l’Italia per fare rotta verso la penisola araba.

Se Parigi è in affari con Riad che finanzia e protegge Al Qaeda perché stupirsi se l’esplosione dei gruppi terroristici nel Sahel è avvenuta proprio dopo l’arrivo dei militari dalla Francia?

A fugare questi sospetti non basta certo il blitz con cui le forze speciali francesi alcuni giorni fa hanno liberato quattro turisti, tra cui due connazionali, rapiti dai jihadisti al confine del Benin. Nello scontro a fuoco coi terroristi sono purtroppo rimasti uccisi due ufficiali dell’operazione Barkhane. E’ purtroppo noto che le stesse truppe degli eserciti regolari come i soldati semplici della Jihad sono all’oscuro delle trame intessute dai governi internazionali per il tramite delle intelligences militari o di poteri occulti.

 

I CRISTIANI ARMATI E LA SUORA DECAPITATA IN CENTRAFRICA

Per far comprendere come sia alto il livello di tensioni in Burkina Faso va ricordato che il Vescovo di Bangassou accoglie da due anni circa duemila musulmani, minacciati di morte dalle locali bande anti Balaka. Gli Anti-balaka sono milizie sedicenti cristiane formatesi nella Repubblica Centrafricana dopo l’ascesa al potere nel 2013 di Michel Djotodia, leader dei Seleka, partito rivoluzionario a maggioranza musulmana che, con l’ennesimo golpe nel paese, rovesciò il regime del generale Francois Bozizé.

Il nome Anti-Balaka deriva da una lingua di giovani analfabeti dell’opposizione armata contro i Seleka – di cui fa parte il già citato Ali Darassa – che combattevano i musulmani “anti-balles à ti laka”. Il termine “laka” indica l’AK-47, il fucile d’assalto kalashnikov usato dai musulmani. Gli Anti-balaka sono quindi coloro lottano contro chi usa gli AK-47, arma diffusa tra i jihadisti come tra i pastori islamici Peuls.

In questo clima di conflittualità etnica-religiosa vanno visti gli ultimi terribili omicidi avvenuti nel Sahel. Proprio nella Repubblica Centrafricana lunedì 21 maggio è stata uccisa e semi-decapitata una suora di 77 anni, franco-spagnola.

La suora uccisa e decapitata a 77 anni Ines Nieves Sancho

«Minuta, gentile, assolutamente pacifica. Così chi l’aveva conosciuta descrive suor Inés Nieves Sancho. La religiosa, 77 anni, è stata trovata morta lunedì mattina nel villaggio di Nola, diocesi di Berberati, nella Repubblica Centrafricana, nei locali dove insegnava alle ragazze in primo luogo a cucire e a provare a farsi una vita migliore. Il suo corpo è stato orrendamente mutilato – ha scritto l’Osservatore Romano, il quotidiano del Vaticano – Suor Inés apparteneva alla piccola comunità locale delle Figlie di Gesù. Da molti anni era impegnata in questo grande agglomerato della prefettura di Sangha-Mbaéré, nel sudovest della Repubblica Centrafricana, al confine con il Camerun. Qui, in un contesto fatto di edifici e baracche tirati su approssimativamente, da decenni aveva prestato la sua opera fino all’età avanzata».

Suor Inés Nieves Sancho, seconda da destra

Nella notte fra domenica e lunedì alcuni sconosciuti si sono introdotti nella sua stanza, l’hanno prelevata e l’hanno condotta proprio nei locali dove teneva le sue lezioni di cucito. Forse un luogo simbolico per i suoi aggressori. Qui l’hanno sgozzata e quasi completamente decollata. I motivi dell’aggressione sono ancora sconosciuti in quanto nessuno ha rivendicato il tremento crimine. Fra le ipotesi c’è quella della turpe pratica del commercio di organi umani o di un sacrificio umano ritenuto propiziatorio di fortuna, soprattutto nella buona riuscita nella ricerca dei diamanti.

Ciò sarebbe avvenuto secondo una superstizione macabra che giunge dal Camerun, dove ebbe grande rilievo intorno al XV secolo la civiltà Bantu di credenza religiosa animista con riti magici e d’iniziazione anche cannibalistici. Il deputato Jean Marc Ndoukou ha accusato le autorità locali di non voler fare la necessaria chiarezza su questi fatti che potrebbero essere la conseguenza di tradizioni occultistiche rimaste vive anche nella violenza di selvaggi terroristi jihadisti saheliani, certamente lontani dagli erudimenti dottrinali dell’Islam.

 

PRETE E FEDELI UCCISI DAI JIHADISTI DURANTE LA MESSA

Sono certamente di matrice islamica salafita, invece, gli attacchi contro i Cristiani perpetrati negli ultimi mesi in Burkina Faso. Il 13 maggio quattro fedeli che stavano riportando in chiesa la statua della Vergine dopo aver partecipato ad una processione mariana, sono stati uccisi a Singa, nel comune di Zimtenga (25 km da Kongoussi), nella regione del centro nord del Paese. Si tratta della stessa regione alla quale appartiene la provincia di Sanmatenga, dove domenica 12 maggio don Siméon Yampa, parroco di Dablo, è stato ucciso insieme a cinque fedeli nell’assalto alla chiesa durante la messa domenicale Secondo quanto riportato dall’agenzia missionaria Fides, i fedeli cattolici di Singa, al ritorno dal villaggio di Kayon, situato a circa dieci km di distanza, sono stati intercettati da uomini armati. I terroristi hanno lasciato andare i minori, ma hanno giustiziato quattro adulti ed hanno distrutto la statua della Madonna.

Don Siméon Yampa, parroco di Dablo, ucciso durante la Santa Messa

L’agguato assassino è avvenuto il giorno successivo all’altro assalto di domenica 12 maggio. «Erano le 9 ieri mattina nella chiesa della parrocchia cattolica del Beato Isidore Bakania a Dablo, villaggio a 90 chilometri da Kaya, nel nord del Paese, nella provincia di Sanmatenga, e la Messa era appena iniziata, quando un commando di 20 jihadisti, arrivato a bordo di moto, ha circondato la chiesa». Questa l’agghiacciante dinamica dell’attacco terroristico raccontata da  monsignor Théophile Nare, vescovo di Kaya, al microfono di Olivier Bonnell e riportata da Vaticans News.

Monsignor Théophile Nare, Vescovo di Kaya

«Finora non avevamo registrato un attacco di tale violenza contro una comunità cristiana: è la prima volta – aggiunge il vescovo – Sono arrivati in moto, hanno circondato la chiesa, hanno incominciato a inseguire le persone, c’è stato grande panico: quelli che potevano, sono scappati, mentre le persone anziane, che non sono riuscite a fuggire sono dovute rimanere là e i terroristi hanno intimato loro di non muoversi, anche alle donne. Il parroco, don Siméon, che era stato allertato, ha cercato di fuggire da una delle porte della sacrestia, ma l’hanno visto da lontano e gli hanno sparato e lo hanno ucciso. Poi sono tornati nella chiesa, hanno perquisito le persone, hanno requisito tutti i telefoni cellulari e siccome avevano intimato a un certo numero di persone di rimanere sdraiate in terra, hanno sparato a cinque di loro uccidendole. Hanno quindi dato fuoco alla chiesa e poi sono andati all’infermeria del villaggio, dove hanno dato fuoco ad alcune strutture e prima di andarsene: hanno preso anche le motociclette dei fedeli che erano andati a Messa e sono fuggiti con quelle».

Il sacerdote ucciso, don Siméon Yampa era nato il 19 febbraio 1985 e aveva ricevuto l’ordinazione il 7 luglio 2014 a Kaya. «Era una persona umile, obbediente e pieno d’amore, amava i suoi parrocchiani, fino al sacrificio finale» ha dichiarato monsignor Nare, invitando però i Cristiani a «non cedere alla paura e alla tentazione della vendetta».

 

CINQUE ATTACCHI TERRORISTICI IN BURKINA FASO

Lo sgomento di Papa Francesco per la strage di cristiani in Burkina Faso – 22 May 2019.ANSA/ETTORE FERRARI

«Il direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede Alessandro Gisotti, ha reso noto un tweet nel quale “Il Santo Padre ha appreso con dolore la notizia dell’attacco alla chiesa a Dablo, in Burkina Faso. Prega per le vittime, per i loro familiari e per tutta la comunità cristiana del Paese” – ha riferito Vaticans News – L’arcivescovo di Ouagadougou, monsignor Philippe Ouédraogo, vista la svolta etnica-religiosa delle azioni terroristiche ha chiesto alla popolazione di opporsi con la fede e l’unità alla violenza. “Siamo un popolo e rimarremo un popolo” ha detto. Di fatto gli attentati, attribuiti a gruppi jihadisti, tra cui Ansar-ul Islam e lo Stato islamico, che sono predominanti, continuano ad aumentare minando soprattutto la convivenza pacifica tra cristiani e musulmani. Il ministro degli Esteri del Burkina Faso ha avvertito che il terrorismo nel Sahel sta guadagnando terreno e che risulta essere finanziato dal mercato dell’oro, estratto dalle miniere».

Il pastore protestante Pierre Ouédraogo ucciso coi suoi due figli dopo una celebrazione

L’attacco dei fondamentalisti islamici è il quinto nel giro di pochi mesi: ai due di maggio si aggiungono quelli delle settimane precedenti. Domenica, 28 aprile, alla fine della celebrazione di una messa solenne a Silgadji, nella provincia settentrionale di Soum, il pastore protestante Pierre Ouédraogo è stato assassinato da due uomini armati di fucile insieme ai suoi due figli e e a tre fedeli. Monsignor Laurent Dabiré, Vescovo di Dori, ricorda inoltre che venerdì 5 aprile presso un villaggio della diocesi, durante la celebrazione della Via Crucis, alcuni uomini armati erano entrati nella chiesa cattolica e dopo aver separato gli uomini da donne e bambini, hanno ucciso quattro fedeli che avevano tentato la fuga. «Prima di andarsene i banditi hanno saccheggiato il villaggio» riferiva monsignor Dabiré smentendo invece la notizia del ritrovamento del corpo di don Joël Yougbaré, parroco di Djibo, scomparso nel nord del Paese domenica 17 marzo.

MARTIRI CRISTIANI: INDIANO DECAPITATO. SALESIANO FUCILATO

Il 15 febbraio 2019 padre Antonio César Fernández Fernández, un missionario salesiano spagnolo, era stato assassinato durante un agguato jihadista al posto di controllo a Nohao, vicino al confine con il Ghana, nel quale erano rimasti uccisi anche quattro doganieri. La Federazione delle Associazioni islamiche del Burkina (FAIB) ha condannato gli attacchi, chiedendo in un appello a tutti i cittadini del Burkina Faso “senza eccezioni per la religione o l’etnia di unirsi contro il terrorismo”.

 

ALTRI DUE SACERDOTI ACCOLTELLATI IN AFRICA

«Di fronte alla morte del nostro fratello Landry Ibil Ikwel, nell’ospedale di Beira (Mozambico) a seguito di un brutale attacco nella casa della comunità a Beira, uniamo i nostri cuori a quelli dei nostri fratelli e sorelle in Africa nel dolore, nella preghiera e nella fiducia in colui che è morto violentemente sulla croce perdonando i suoi aggressori, chiediamo al Signore che, ovunque la morte cerchi di prevalere, prevalga invece la vita”. E’ il comunicato della Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, pervenuto a Fides, sulla tragica morte di p. Landry Ibil Ikwel, 34 anni, accoltellato mortalmente il 19 maggio a Beira. Di nazionalità congolese, padre Landry era entrato in noviziato nel 2008 ed era stato ordinato sacerdote tre anni fa, il 7 febbraio 2016, a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo. Era il direttore dell’Istituto dei ciechi a Beira (IDV-B), struttura che ha per missione la formazione, la riabilitazione, l’educazione, l’integrazione sociale di bambini, giovani e adulti ciechi di tutto il paese, assicurando ad ognuno una educazione adeguata secondo le capacità individuali, e facendoli quindi uscire dall’emarginazione cui la società li relega. Secondo le prime ricostruzioni, il sacerdote è stato accoltellato nella sua comunità, trasportato all’ospedale è morto per le ferite. Sono in corso le indagini per individuare il responabile. Al momento non ci sono prove di un’eventuale azione terrorista.

Padre Landry Ibil Ikwel, direttore dell’Istituto per ciechi in Mozambico, accoltellato a morte il 19 maggio 2019

Padre Fernando Fernández, salesiano di nazionalità spagnola, è stato invece pugnalato intorno a mezzogiorno del 17 maggio, nel centro salesiano di Don Bosco nella città di Bobo Dioulasso, nel sud-ovest del Burkina Faso. «Durante il pranzo, un ex cuoco che ha lavorato nella struttura per sette anni, si è scagliato con un coltello contro il religioso spagnolo, uccidendolo. Un secondo sacerdote di origine togolese è rimasto ferito nell’incidente. Padre Germain Plakoo-Mlapa, direttore degli studi, è stato trasportato immediatamente in ospedale e sarebbe fuori pericolo. L’assassino è stato subito arrestato dalla polizia evitandogli il linciaggio da parte degli studenti e della gente accorsa nel frattempo».

Dalle prime indagini sembra che il cuoco si sarebbe voluto vendicare del licenziamento avvenuto due mesi fa. Padre Fernández era l’economo del centro Don Bosco di Bobo-Dioulasso, la seconda città del Burkina Faso, che si trova nella provincia di Houet, a circa 300 km a ovest della capitale Ouagadougou. A Bobo Dioulasso, dal 1994, i salesiani hanno sviluppato in modo coordinato in tre sedi: un centro di assistenza per ragazzi e ragazze di strada, un centro di alfabetizzazione e un centro di formazione professionale con oltre 300 studenti.

 

PARROCO UCCISO IN SALVADOR PER ESTORSIONE

Padre Cecilio Pérez Cruz, sacerdote diocesano, era originario della località Sabana San Juan Arriba, comune di Nahuizalco, nello stesso dipartimento di Sonsonate, a circa 15 chilometri dalla parrocchia San José a La Majada a cui era stato assegnato quattro anni fa e dove è stato ucciso il 19 maggio. Tra la stazione di polizia di San José La Majada e la chiesa parrocchiale di padre Cecilio, non ci sono più di 150 metri. Gli abitanti della zona sono attoniti perché, sebbene sia il primo omicidio registrato nel 2019, hanno la sensazione che quando i criminali vogliano uccidere qualcuno non ha importanza il fatto che ci siano o meno poliziotti nella zona. Un primo rapporto della polizia attesta che vicino al sacerdote ucciso è stato trovato un pezzo di carta che diceva “Per non aver pagato il pizzo” firmato dai malavitosi della Mara Salvatrucha (MS-13), ma ci sono forti dubbi che si tratti di un depistaggio.

Padre Cecilio Pérez Cruz con il cardinale Gregorio Rosa Chavez, ausiliare dei San Salvador, capitale di El Salvador

Il Cardinale Gregorio Rosa Chávez, Ausiliare di San Salvador, ha dichiarato che anche i sacerdoti sono vittime di estorsioni da parte delle bande: «Ci sono casi che conosciamo, altri forse no, nessuno ne è esente; è un grande dolore sapere questo quando si tratta di gente così semplice… E’ qualcosa che sembra senza soluzione, ma dobbiamo affrontare questo dramma».

Il vescovo martire salvadoregno Oscar Romero, proclamato Santo da Papa Francesco il 14 ottobre 2018

Il giovedì santo del 2018 Padre Walter Osmin Vásquez, sacerdote di 36 anni della Diocesi di Santiago de Maria, vicario parrocchiale di Usulután, sempre in questa zona del paese, venne ucciso dalla malavita. Proprio in quella diocesi di una zona montuosa tra le più povere del paese, dal 1974 al 1977, era stato Vescovo monsignor Oscar Romero, assassinato da un sicario degli squadroni della morte, il 24 marzo 1980, tre anni dopo essere divenuto Arcivescovo metropolita di San Salvador per aver denunciato le violenze del regime militare. Romero è stato proclamato Santo l’anno scorso da Papa Francesco.

 

ALLARME TERRORISMO ANCHE IN GHANA, BENIN E TOGO

Un jihadista africano esulta dopo un massacro di cristiani

«È tempo di rimanere vigili, è dobbiamo vedere cosa possiamo fare per proteggere le persone innocenti che vengono in chiesa per pregare. Sarebbe triste che proprio in chiesa dovessero incontrare la morte» ha dichiarato monsignor John Bonaventure Kwofie, Arcivescovo di Accra, nell’annunciare l’elevamento dell’allarme per possibili attentati contro luoghi di culto cristiani in Ghana.

«La sicurezza è diventata un grosso problema dopo quello che è accaduto in Sri Lanka e ciò che sta accadendo in Burkina Faso» ha rimarcato l’alto prelato facendo riferimento alle stragi nelle chiese cattoliche nello Sri Lanka la domenica di Pasqua e ai recenti attentati contro le comunità cattoliche e di altre confessioni cristiane nel confinante Burkina Faso. «Dal momento che la minaccia del terrorismo si sta avvicinando a noi, abbiamo elevato il livello d’allerta per affrontarla» ha spiegato Kwofie dopo aver incontrato il capo della polizia per concordare le misure di sicurezza per proteggere i fedeli che partecipano alle funzioni religiose domenicali. La Chiesa di Cristo Re, una delle parrocchie dell’Arcidiocesi di Accra, ha già bandito gli zaini come parte delle nuove direttive di sicurezza.

La situazione della sicurezza in Burkina Faso resta tesa, mentre migliaia di burkinabes si sono riversati nei villaggi di confine del Ghana. Il Centro Africano per gli Studi sulla Sicurezza e l’intelligence (ACSIS) ha lanciato l’allarme sull’intenzione di gruppi jihadisti salafiti con sede in Burkina Faso, di lanciare attacchi a chiese ed hotel nei Paesi vicini, tra cui Ghana, Benin, Costa d’Avorio e Togo.

CRISTIANI MASSACRATI: 4MILA VITTIME, 40 MISSIONARI

L’impressione è che l’intero Continente Nero, dal Sudan al Sahel, dalla Nigeria alla Somalia e fino al Medio Oriente, sia diventato il focolaio di gruppi estremisti della Jihad che, sotto lo stimolo apparente di un conflitto etnico e religioso, nascondano gli interessi dei signori della guerra. Non solo quelli che in Africa organizzano le milizie ma soprattutto quelli che a New York come a Parigi e Londra incassano i guadagni della speculazione sul mercato delle armi.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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LOBBY ARMI – 1: BLACKROCK E GLI ALTRI AFFARISTI DELLE GUERRE USA

MEDIORIENTE E TERRE DI GUERRE

CRISTIANI PERSEGUITATI E MARTIRI

JIHADISTI ISLAMICI – TERRORISTI – STRAGI

 

FONTI

OSSERVATORE ROMANO – SUORA ASSASSINATA

VATICANS NEWS – ALLARME BURKINA FASO

FIDES – L’INVASIONE DEI PASTORI MUSULMANI

FIDES – SACERDOTE UCCISO IN MOZAMBICO

 

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Fabio Giuseppe Carlo Carisio

2 pensieri su “INFERNO SAHEL: JIHADISTI AFRICANI TRUCIDANO PRETI E CRISTIANI

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